Recensione di Figlia del rantolo di Emanuela A. Imineo
Figlia del rantolo è l’ultimo romanzo di Emanuela A. Imineo, autrice dark fantasy e horror ed editore della Dark Abysss Edizioni.
Si tratta di un libro che mescola elementi di folklore irlandese e di saga familiare, creando una storia horror di impatto e ad altissima tensione.
Ho avuto il piacere di leggere Figlia del rantolo in anteprima. Ecco la mia recensione.
Trama

Il rantolo è l’ultima carezza della morte.
Ma cosa succede quando si trasforma in voce?
Non tutte le eredità si leggono nei testamenti. Alcune… arrivano urlando.
C’è una casa.
Una famiglia spezzata.
E una presenza, dai capelli bianchi e la bocca aperta.
La chiamano con nomi diversi.
Ma lei ha sempre lo stesso volto.
E un urlo che non smette mai di respirare.
La Banshee.
Non annuncia la morte.
La coltiva.
La nutre nei silenzi.
La infila sotto le porte.
Branwen è tornata.
Ma non è più una figlia.
Perfetto per chi ama l’horror gotico, viscerale, psicologico.
Un viaggio tra lutto, maledizione e voce ancestrale.
Per chi sente ancora piangere i muri.
Per chi ha lasciato morire qualcuno da solo.
Per chi sa che certe eredità… Si portano nel corpo.
Recensione
Case infestate, fantasmi del passato e una Banshee affamata di dolore: Figlia del rantolo è un romanzo horror psicologico che ti scava dentro. Il libro di Emanuela A. Imineo affronta i mostri che abitano le case… e quelli che si annidano nella memoria.
Una storia inquietante, densa di simboli e ferite familiari, che unisce tensione narrativa e profondità emotiva. Un romanzo che resta sotto pelle.
Quando il ritorno a casa riapre vecchie ferite
Branwen ha lasciato la sua famiglia per rifarsi una vita a Dublino, lontana da un padre paranoico, una madre inerte e un fratello incapace di reagire. Anni dopo, la morte del padre e la malattia della madre la costringono a tornare.
Ma il ritorno non è una semplice visita. È uno sprofondare nel passato, nel senso di colpa, nelle accuse mai dette. Liam, suo fratello, la rimprovera di averli abbandonati. Branwen, a sua volta, accusa la famiglia di averla lasciata sola con il compito di assistere la nonna morente quando era solo una ragazzina.
I rancori si riaccendono. I silenzi pesano. E tra le mura della vecchia casa si insinua qualcosa di oscuro.
Horror e simbolismo: la Banshee e il corpo-casa
Nel romanzo si intrecciano più piani di lettura. Il primo è quello dichiaratamente horror: una presenza infestante si aggira tra le mura. È una Banshee, creatura del folklore irlandese, che si nutre di dolore, lutto e senso di colpa. I suoi rantoli si confondono con quelli degli umani.
Ma la casa stessa è più di un semplice luogo: è un corpo marcio, putrescente, che riflette lo sfaldamento della famiglia che vive al suo interno. Emanuela descrive abilmente una realtà simbolica, in cui ogni immagine ha un significato più profondo. La decomposizione non è solo fisica, è emotiva.

Famiglie disfunzionali e traumi irrisolti
Il secondo livello del romanzo è quello delle dinamiche familiari. Figlia del rantolo racconta i rapporti logorati tra fratelli, le aspettative non dette, le verità nascoste. Il dolore non si urla, si respira.
I ruoli all’interno della famiglia si sono incancreniti nel tempo, e nessuno riesce più a comunicare. Ogni tentativo di riavvicinamento porta nuova distanza. La Banshee prospera proprio in questo vuoto, diventando una metafora vivente del trauma che avvelena tutto ciò che tocca.
Una storia personale, una scrittura viscerale
Ma c’è anche un terzo piano, più intimo: quello autobiografico. Come l’autrice racconta nel prologo e nell’epilogo, la scrittura di Figlia del rantolo è stata un processo di catarsi. Un modo per dare forma – e per esorcizzare – un dolore personale profondissimo.
Lo stile è asciutto, spezzato, crudele. Le frasi brevi, il ritmo incalzante e senza tregua accompagnano il lettore in una discesa claustrofobica. Ogni parola è scelta con precisione chirurgica. Ogni immagine è una ferita aperta.
In una storia diversa, avrei trovato questa continua concitazione, che non consente mai di tirare il fiato, forse eccessiva. Ma in Figlia del rantolo funziona, perché è evidente che fosse questo l’intento di Emanuela: creare una tensione crescente, che non dà tregua al lettore. Paragonabile alla tensione di assistere un parente in fin di vita.
Come è successo a Branwen.
Come è capitato a Emanuela.
Perché leggere Figlia del rantolo
Figlia del rantolo è una lettura imperdibile per chi ama l’horror psicologico, i romanzi che parlano di famiglie disfunzionali, e le storie capaci di evocare emozioni reali, dolorose, autentiche. È una di quelle letture che non si dimenticano: non perché fanno paura, ma perché fanno male. Perché riconosciamo in quelle pagine qualcosa che ci appartiene.
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