Il vuoto di Yamauba – Recensione
Emanuela A. Imineo, prima di essere l’editrice della Dark Abyss Edizioni, è un’autrice di romanzi dark fantasy o horror, oltre che scrittrice di saggi di stampo esoterico.
Tra i suoi libri c’è “Il vuoto di Yamauba”, una storia horror a base di yōkai, i demoni della mitologia giapponese. Ecco la mia recensione.
Trama

Giappone, età feudale. Yamauba è divenuta mamma di uno splendido bambino. Il marito, stanco di quella donna che ormai ha trovato nel figlio il fulcro dell’esistenza, escogita con sua madre un piano per liberarsene: spingerla al suicidio, facendole credere di aver avvelenato il piccolo con il proprio latte. Così avviene e Yamauba, additata come strega e aggredita dagli abitanti del villaggio, è costretta a rifugiarsi in una caverna sui vicini monti. Convinta di aver ucciso il figlio decide di lasciarsi morire ma, per volere degli Dei, Yamauba sopravvive scivolando nella follia. Tra foreste cupe e distese innevate, la sua unica compagnia saranno gli Yōkai: spiriti crudeli e pericolosi, votati all’inganno. Guidata da uno di essi, Yamauba cederà ai peggiori istinti, nutrendosi di carne umana e accettando di perdere l’anima.
Recensione
“Il vuoto di Yamauba” è un romanzo che ci porta in un mondo antico e lontano, il Giappone, con tutte le sue tradizioni e credenze.
Racconta la storia di Yamauba, una donna che non ha altri desideri che essere una buona madre e una brava moglie, ma che si scontra con la crudeltà dell’uomo. Del suo uomo, Akuma, colui che le porta via il figlio Takara, costringendola all’esilio e al vuoto della solitudine e del dolore.
Yamauba è dolce, innocente, indifesa, mentre Akuma è mosso dai più bassi istinti e non si fa remore a causarle, pur di liberarsi di lei, la sofferenza più atroce per una madre.
Fin dalle prime pagine, “Il vuoto di Yamauba” è uno schiaffo in pieno volto. Costringe il lettore a confrontarsi con il male, un male che ha volto umano, e dal quale non c’è scampo né difesa.
Come si può uccidere chi è già morto dentro?
Il vuoto di Yamauba, Emanuela A. Imineo
Con questo cocente senso di ingiustizia nel petto, si prosegue nella lettura.
Il libro percorre le vicende da un lato di Yamauba, confinata tra i ghiacci della montagna e trasformata in un mostro, in uno spettro, con la sola compagnia della Yukionna e di un altro yōkai, e dall’altro di suo figlio Takara, cresciuto da una nonna possessiva e un padre attaccato solo al denaro.
Riga dopo riga, si seguono i passi dei due personaggi principali.
Yamauba ha rinunciato alla sua umanità per sopravvivere sul monte Shirouma, ma soprattutto per non sentire più quel dolore sordo nel petto. La sofferenza la trasforma, la induce a perdere il senno, e lei diventa qualcos’altro, un mostro divoratore di carne umana.
La vita di Takara non è più facile: diventa un samurai nel tentativo di guadagnarsi il rispetto del padre, ma ogni giorno è costretto a confrontarsi con il vuoto causato dall’assenza della madre.
La Yukionna gridò senza preoccuparsi che lo spirito delle montagne di Shirouma potesse sentirla. Gridò come se il suo cuore morto battesse ancora.
Il vuoto di Yamauba, Emanuela A. Imineo
Altri personaggi degni di nota sono gli yōkai che circondano Yamauba: creature malvagie divoratrici di uomini, che non si fanno scrupoli a ingannarli o schernirli. Uno spazio particolare è stato dedicato alla Yukionna: lei rappresenta ciò in cui Yamauba sceglie di trasformarsi, una creatura spietata, ma fondamentalmente sola.
È questo ciò di cui parla “Il vuoto di Yamauma”, in effetti. Ci sono gli yōkai, ed è stato bello leggere di loro e vederli muoversi tra le pagine.
Ma andando alla sostanza del romanzo, si tratta di una storia che tratta di solitudine, dolore e miseria umana.
Tutti i personaggi, anche i più gelidi e apparentemente insensibili, sono delle creature plasmate dalla sofferenza e, in quanto tali, suscitano nel lettore un profondo senso di desolazione.
L’infelicità e la miseria la fanno da padrone, e sembra non ci sia una vera e propria via di fuga o soluzione.
Il male è presente in ogni pagina: quello gratuito e ingiusto, che non fa sconti né ha pietà. E nonostante il romanzo pulluli di creature demoniache del folklore giapponese, ciò che emerge è che la crudeltà e l’ingiustizia hanno un volto umano.
Lo stile dell’autrice è curato, ma al contempo secco e brutale. Ogni frase è vomitata su carta, per trasmettere con rabbia e desolazione quel dolore che attraversa i suoi personaggi.
In diversi punti, la scrittura diventa cruda per adattarsi alle scene di violenza. All’interno di questo libro non mancano, e sono descritte con dovizia di particolari. Tra le pagine si trovano crudeltà e cannibalismo, tuttavia non sono mai gratuiti, bensì sono funzionali alla costruzione di un personaggio, quello di Yamauba, che deve essere estremo, così come estremo è il dolore che le è stato causato.
Una lettura non per tutti, quella de “Il vuoto di Yamauba”. Ma capace di entrare sotto la pelle di chi la affronta, e di infestare i pensieri del lettore come uno spettro.
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